Nato a Treviglio (BG) il 30/10/1987 e laureato in Matematica all’università dell’Aquila nel 2013, Marco Mezza è un professore e recensore cinematografico. A queste attività unisce l’immensa passione per il basket, nata dalla semifinale olimpica del 2004 tra Italia e Lituania. Tifosissimo della Juvecaserta in Lega A e dei Dallas Mavericks in NBA, il suo idolo di sempre è Dirk Nowitzki, a cui affianca Shaquille O’Neal, Magic Johnson e troppi altri per nominarli tutti. Tra gli italiani, ha vissuto per anni nel mito di Gianluca Basile, mentre attualmente ritiene Danilo Gallinari il miglior giocatore italiano. Nella quinta giornata del campionato UISP ha fatto il suo esordio durante la sfida tra l’ARCI Canaletto e il Califfato Montisola. E ha voluto raccontarlo così, con orgoglio e tanta, tanta emozione.
Io amo la pallacanestro. Ma la pallacanestro mi vede più come un amico.
Ormai è arcinota a tutti la sbandata pesante che presi nell’agosto del 2004 con la semifinale olimpica tra Italia e Lituania. Da lì in poi, niente sarebbe stato più lo stesso, anche perchè nel dicembre dello stesso anno arrivò la mia prima partita dal vivo (una indelebile Caserta-Pavia vinta al supplementare con tre tiri liberi di Sir Sean Colson) e la mia iniziazione definitiva al magico mondo della spicchia.
Però la cotta, a questo giro, era veramente di quelle che ti bruciano, al punto che non mi accontentavo di vedere giocare gli altri; così, a 18 anni, senza aver mai frequentato scuole basket, senza aver mai toccato una palla arancione, in un campetto sulla spiaggia di San Salvo Marina ho voluto provare anch’io. Il risultato, sebbene non fu proprio scoraggiante (alla fine avevo sempre i miei 187 centimetri) non poteva che essere la friendzone immediata.
Se c’è una cosa che ho sempre fatto, nella vita, è accettare le sfide complicate. Non me ne faccio sempre un vanto, sia chiaro; col boccone troppo grosso, spesso, ci si strozza. Ma non mi sono mai tirato indietro di fronte a nulla, figurarsi quando di fronte c’è la possibilità di conquistare il cuore della pallacanestro. Ho girato i campetti dell’Aquila, quindi di Piedimonte Matese per due anni, imparando continuamente dai miei errori, cercando di migliorare per quanto possibile, ogni tanto registrando anche qualche partitina buona. Addirittura ho esordito in un torneo estivo, ovviamente perdendo tutte le 4 partite, ma segnando in tutte e dando anche una stoppata nell’unica gara che giocammo punto a punto.
Fino all’incontro col fantastico gruppo dell’ARCI Canaletto di La Spezia. Anche qui, una sfida grossa; non mi sono unito per gli allenamenti ad una squadra qualsiasi, ma alla migliore. Che infatti, da quando le nostre strade si sono incrociate, ha vinto 3 trofei UISP, tra cui quello di Campione d’Italia, e perso una sola gara.
Proprio mentre festeggiamo il terzo trofeo, la Supercoppa italiana vinta a Pieve a Nievole, il coach annuncia una decisione già epocale e indelebile; la mia passione, la mia costanza negli allenamenti, la mia voglia di essere sempre vicino alla squadra, saranno premiate dalla mia prima convocazione in un campionato ufficiale.

3’50’’ da giocare. È ora.
Mi siedo sul cubo dei cambi col cuore in gola, la tribuna si scioglie in un applauso. E in quel momento la mente mi abbandona, come a dirmi “ora veditela da solo”. Tant’è vero che faticherò a mettere insieme i pezzi del mosaico di questo scorcio di gara. Ma se la mente non c’è, il cuore c’è eccome, il fisico anche; e allora andiamo.
Iniziamo in difesa, siamo a zona 2-3. Che però diventa presto 3-2, poi torna 2-3, poi ritorna 3-2. Tattica del coach o della squadra per scombussolare le idee dell’avversario? No, io che proprio non voglio capire che se sono basso, devo restare basso, non devo uscire sul perimetro.
Quando lo capisco, l’avversario mi ha già battuto, sta andando dritto verso il nostro canestro; io tento di recuperare con le braccia alzate, contatto, ovviamente fallo. Mano alzata, cinque all’avversario. Canestro evitato.
Di nuovo zona, stavolta loro si accontentano di un tiro dai 6 metri; errore, sono sulla palla, la schiaffeggio quel tanto che basta perchè vada verso Carlo. Prima azione offensiva. Prendo posizione sulle tacche senza sperarci troppo, ma Lorenzo mi serve. E allora capisco che la serata non può finire con la gioia, seppur già enorme, di esserci stato. Provo ad avvicinarmi al canestro; il 16 avversario non fa una piega. Non sarà facile. Prendo comunque il tiro, che non vede il ferro; Carlo è sul rimbalzo, prova ancora a servirmi, ma viene pescato in infrazione di passi.
Prima occasione sfumata. Ma il tempo c’è ancora; devo guadagnarmi un’altra chance in difesa. Gli squat in palestra fanno bene; difendo basso sulle gambe, l’avversario fa un timido tentativo di battermi in palleggio, poi si accontenta di tirare da fuori, sbaglia, il rimbalzo è mio. Lorenzo me la passa di nuovo spalle a canestro. Ho mezzo metro, posso girarmi e tirare, il tiro non è una pietra, la palla balza sul ferro, ma non entra; il rimbalzo offensivo è mio, ho un’altra possibilità dal mezzo angolo, ma da lì non ho la minima speranza; altro airball.
Il tempo passa, potrei accontentarmi dei due rimbalzi. Anche perchè, qualora ci fosse un altro tentativo, sarebbe l’ultimo. La chance arriva. Ricevo ancora palla da Lorenzo, la posizione è buona, ma arriva il raddoppio di marcatura. Per gli avversari significa “ok, hai avuto i tuoi tiri, li hai sparati sul ferro se andava bene, ti sei divertito, ora basta”. Per me, significa dover scaricare all’uomo lasciato libero da chi sta aiutando su di me.

Marco Mezza